Milano – È denominato “Marco Polo” il piano con cui il gruppo per la tecnologia tedesco Siemens intende aumentare ulteriormente gli investimenti in Cina, in particolare nella divisione industrie digitali. L’amministratore delegato di Siemens, Roland Busch, mira a massicci investimenti e allo sviluppo di nuove funzioni dell’azienda in Cina. Per l’Ad, l’obiettivo è portare Siemens “alla pari con la concorrenza cinese”, dato che “le misure finora pianificate non sono sufficienti per battere i campioni locali”. Secondo Busch, “per vincere la gara” è necessario “un ulteriore rafforzamento”. L’Ad ha inizialmente rinviato parti del piano “Marco Polo”, come il possibile trasferimento completo di sottosettori e l’apertura di ulteriori sedi di Siemens in Cina. Tuttavia, secondo fonti di “Handelsblatt”, questo posticipo potrebbe non durare a lungo. Pechino è, infatti, a conoscenza dei piani di Busch e “vuole vederli attuati”. In linea di principio, l’Ad si attiene ai progetti di investimento ed, entro il 2025, intende raddoppiare le vendite della divisione industrie digitali Cina rispetto al 2020. Intanto, Siemens ha comunicato che il rafforzamento delle capacità in questo Paese segue una “strategia di diversificazione”, mirante a ridurre la dipendenza tra le regioni nel senso della glocalizzazione, con riguardo anche alle catene di approvvigionamento. Il gruppo sta attuando piani simili in altre regioni. Intanto, Busch è determinato a investire in Cina. A marzo scorso, quando dirigenti di Siemens hanno prospettato il trasferimento parziale della produzione di motori nel Paese sotto l’egida della divisione affari digitali, Busch ha replicato che la ricollocazione avrebbe dovuto interessare tutti gli ottomila posti di lavoro interessati.
È in questo contesto che l’amministratore delegato di Siemens ha sviluppato il “Marco Polo”. In sostanza, il piano prevede di potenziare in Cina la produzione e, “soprattutto, la ricerca e l’amministrazione” nella divisione industrie digitali. Allora, era previsto che Siemens aprisse in Cina una seconda sede centrale, gemella di quella di Monaco di Baviera, da cui gestire le operazioni. Ora, il gruppo afferma di non progettare la costruzione di questo quartier generale cinese per le industrie digitali. Allo stesso tempo, l’azienda comunica di voler sviluppare prodotti per la Cina a livello “più locale” in conformità con i requisiti del Paese. Si tratta, infatti, di “un fattore di successo indispensabile nel mercato cinese altamente competitivo”. Secondo “Handelsblatt”, il “Marco Polo” è un autentico “China Master Plan” di Siemens. Per le industrie digitali, è prevista una crescita in Cina del 15 per cento. Il gruppo non riferisce il fatturato attuale del settore in Cina, ma secondo alcune indiscrezioni le stime superano i due miliardi di euro. Tuttavia, “questa crescita ha un prezzo”, ossia “un cambio di paradigma” per Siemens che dovrà adattarsi al nuovo motto di Pechino: “Created in China” e non più “Made in China”. Il Partito comunista cinese (Pcc) vuole, infatti, che i prodotti fabbricati in Cina siano concepiti e sviluppati nel Paese. Secondo diversi osservatori, l’obiettivo è “un trasferimento massiccio e permanente di tecnologia, competenze e conoscenze” in Cina. In questa prospettiva, la Germania sarebbe in grado di ottenere i prodotti e i servizi ad alta tecnologia di ha bisogno “soltanto dalla Cina”. Numerose voci si sono quindi levate a mettere in guardia da una nuova dipendenza unilaterale per la Repubblica federale tedesca, dopo quella dalla Russia nell’energia.
In particolare, la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, ha recentemente dichiarato che la Germania “non dovrebbe rendersi dipendente in maniera esistenziale da nessun Paese che non condivida i nostri valori”. Diverse grandi aziende tedesche già dipendono fortemente dalla Cina. Il gruppo tecnologico Infineon genera il 37,9 per cento del fatturato in questo Paese. Per i conglomerati Bmw, Mercedes-Benz e Volkswagen il dato supera il 30 per cento. Nel caso dell’azienda di articoli sportivi Adidas e del gruppo petrolchimico Basf il risultato è del 21,6 e del 15,3 per cento, per Siemens del 13,3 per cento. Allo stesso tempo, cresce la pressione della politica per “troncare i legami troppo stretti” tra le aziende e la Cina. In tale prospettiva, il governo federale sta lavorando a una strategia per la Cina, che ha tra gli obiettivi rendere l’economia tedesca più indipendente dal Paese. Busch ha reagito sollecitando un “trattamento rispettoso”per la Cina, che è “giustamente molto sicura di sé” avendo sollevato “un miliardo di persone dalla povertà e creato una vera classe media in 20 anni”. Per l’Ad, non è quindi “una politica estera conflittuale” che può migliorare i rapporti con Pechino. A sua volta, l’amministratore delegato di Basf, Martin Brudermueller, ha esortato a smettere di incolpare la Cina e a fare autocritica per la debolezza delle imprese tedesche. Intanto, le agenzia di intelligence della Germania mettono in guardia dai rischi rappresentanti dalla Cina. In particolare, Thomas Haldenwang, direttore dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (Bfv), ossia il servizio interno tedesco, ha affermato che “la Russia è la tempesta, la Cina è il cambiamento climatico”.