Nell’ultimo anno e mezzo, la pandemia da Covid-19 ha messo a dura prova il mondo del lavoro italiano, anche se a pagarne le conseguenze è stato, in particolar modo, il segmento delle partite Iva.
Secondo quanto rilevato dall’Ufficio studi della CGIA, da febbraio 2020 allo scorso agosto, ultima rilevazione disponibile, il numero complessivo dei lavoratori indipendenti è sceso di 302 mila unità (-5,8%). Nello stesso periodo, invece, i lavoratori dipendenti sono diminuiti di 89 mila (-0,5%). Se, in termini assoluti, i primi sono scesi sotto la soglia dei 5 milioni (precisamente 4.936.000), i secondi hanno toccato quota 17.847.000.
“Ai tradizionali problemi che da sempre assillano le micro imprese (tasse, burocrazia, mancanza di credito, etc.), le chiusure imposte per decreto, le limitazioni alla mobilità, il crollo dei consumi delle famiglie e il boom dell’e-commerce registrati in questo ultimo anno e mezzo hanno peggiorato la situazione di tanti autonomi che sono stati costretti a chiudere definitivamente la propria attività. Queste micro realtà, ricordiamo, vivono quasi esclusivamente di domanda interna, legata al territorio in cui operano. Solo nel 2020, in Italia i consumi delle famiglie sono scesi di circa 130 miliardi di euro, soldi che in gran parte alimentavano i ricavi delle piccolissime attività che, a seguito di questa contrazione, non sono più riuscite a far quadrare i propri bilanci”, si legge nella nota dell’associazione.
Tuttavia, come sottolinea l’analisi, la crisi del mondo del lavoro autonomo non può essere imputabile solo all’avvento della pandemia. Negli ultimi 17 anni, il picco massimo delle aperture è stato raggiunto nel marzo del 2004, quando il numero complessivo degli indipendenti presenti in Italia raggiunse quota 6.303.000 unità. Successivamente il numero dei lavoratori autonomi ha continuato a scendere fino ad arrivare nel dicembre 2020 sotto la soglia dei 5 milioni. A gennaio di quest’anno, invece, si è raggiunta la quota più bassa da quando esiste questa serie storica: ovvero 4.925.000.