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martedì 6 Giugno 2023

La recessione allenterà la stretta monetaria e favorirà i listini

Milano – “Il 2023 per i mercati potrebbe essere un anno positivo, specie nella seconda parte”, commenta con l’AGI Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte. . Il 2022, con la guerra, l’inflazione galoppante e i massicci rialzi dei tassi, non è stato un anno positivo per i mercati, anche se le aziende hanno ridotto di poco gli utili. “Gli investitori nel 2022 – spiega Cesarano – hanno sfruttato le fasi di rimbalzo per vendere e portare a casa qualcosa. Il 2023 invece mi sembra un anno diverso. Nella prima parte dell’anno i tassi continueranno a salire, anche se più lentamente, e le aziende/analisti potrebbero tagliare le stime sugli utili. Tuttavia, nella seconda parte dell’anno, quando il rialzo dei tassi dovrebbe iniziare a frenare, allora potremmo vedere le Borse riprendere a salire. Insomma, nel 2022 il mercato è stato ribassista con qualche rimbalzo positivo in mezzo e l’anno prossimo la situazione potrebbe rovesciarsi e potremmo avere un mercato rialzista con qualche fase travagliata in mezzo. “Nel 2023 prevedo in media un anno abbastanza positivo per l’azionario e l’obbligazionario, mentre non vedo un anno brillante dal lato macroeconomico. Soprattutto nella seconda parte del 2023 – assicura Cesarano – mi aspetto che le banche centrali diventino più colombe e perciò prevedo tassi obbligazionari più giù e Borse più su”.

Nel 2022 il dollaro si è rafforzato su tutte le valute, per l’aggressività delle banche centrali e per gli acquisti soprattutto europei di prodotti energetici, che avvengono in dollari e che sono fortemente aumentati dopo l’invasione dell’Ucraina. Perfino un Paese come la Germania, la cui bilancia commerciale è sempre stata in forte attivo, nel 2022 è andata in disavanzo per l’aumento del prezzo in dollari delle materie prime e soprattutto di gas e petrolio. “Il 2023 – dice Cesarano – a mio avviso dovrebbe essere mediamente un anno di dollaro debole, soprattutto nella seconda parte dell’anno, quando inizierà la recessione statunitense”. L’euro invece dovrebbe consolidarsi intorno a 1,10 sul biglietto verde, oscillando tra la parità e 1,15, e lo yen e lo yuan dovrebbero rafforzarsi.

La recessione non farà bene al prezzo del petrolio, che però dovrebbe mantenersi attorno a quota 70-80 dollari al barile. A pesare in positivo saranno le riaperture in Cina, nella prima parte dell’anno prossimo, che fanno sperare in una possibile ripresa dell’economia del Dragone e gli acquisti di greggio da parte del governo Usa che deve ricostituire le scorte, dopo aver immesso sul mercato 180 milioni di barili per abbassare il prezzo del petrolio. D’altra parte, le riserve strategiche Usa, che erano arrivate a oltre 700 milioni di barili di greggio, ora sono a meno di 400 milioni di barili e questo rischia di minare la credibilità militare di un Paese come gli Stati Uniti, poichè in caso di guerra il petrolio deve essere disponibile subito e in grandi quantità. “Penso – dice Cesarano – che nel 2023 il prezzo del petrolio inizierà a risalire nella prima metà dell’anno, anche se molto dipenderà dalla ripresa o meno dell’economia cinese, mentre nella seconda parte il prezzo potrebbe cedere qualcosa per colpa della recessione Usa”.

Anche i prezzi delle altre materie prime dovrebbero dipendere molto dalla ripresa o meno della Cina, specie il rame, che ha già iniziato a salire. Il 2023, a differenza del 2022 e del 2024, inoltre, non sarà un anno elettorale e questo potrebbe favorire i negoziati, specie quelli per la pace in Ucraina. La Cina sta cominciando a fare un pò di pressing sulla Russia, anche perchè non ha interesse ad avere una guerra prolungata in Europa, che è un suo cliente importante. Gli Usa hanno concesso i missili Patriot all’Ucraina, più per evitare eccessivi danni alle infrastrutture da parte dei missili russi che per colpire obiettivi militari nemici. La Russia potrebbe scatenare un’offensiva a primavera contro l’Ucraina, ma un negoziato potrebbe partire proprio per evitare che la situazione peggiori. Circola l’ipotesi che con un nuovo referendum, fatto sotto l’egida dell’Onu, si arrivi a determinare se la Crimea e parti del Donbass debbano restare o meno in mano dei russi. L’altra crisi geopolitica ancora aperta è lo scontro tra Taiwan e la Cina.

“Il 2023 – dice Cesarano – non lo vedo come l’anno in cui si scatenerà un attacco di Pechino a Taiwan, anche perchè alle elezioni regionali di novembre ha vinto nettamente il partito filocinese di opposizione, il Kuomintang, che è favorevole a creare una Cina unica, come chiede Pechino. Questo dovrebbe scoraggiare la Cina ad attaccare Taiwan, perchè se il Kuomintang dovesse vincere le presidenziali del 2024, i cinesi potrebbero mettere le mani sull’isola senza bisogno di uno scontro militare”. Nel 2023 la Cina avrà altro a cui pensare, poichè sarà impegnatissima a far ripartire l’economia, compito non facile, visto che l’abbandono della politica dello zero Covid ha diffuso in modo pauroso la pandemia e da una riunione a porte chiuse del centro per il controllo e la prevenzione delle malattie è emerso, secondo quanto trapela da fonti citate dal Financial Times e in contrasto coi dati ufficiali che parlano di 60 mila contagi, che ben 250 milioni di persone, il 18% della popolazione, sia stato infettato dal virus nei primi 20 giorni di dicembre. Infine, va ricordato che la Cina ha in pancia più di 900 miliardi di dollari di Treasury Usa, poco meno di un terzo di tutte le sue riserve valutarie che, in caso di attacco a Taiwan, sarebbero congelate, il che rappresenterebbe un grosso guaio per Pechino.

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