Milano – Ridurre l’inflazione a un livello coerente con l’obiettivo del 2% della FED richiederà “un periodo di condizioni finanziarie restrittive”, che genererà “una crescita al di sotto del trend e un certo ammorbidimento delle condizioni del mercato del lavoro e ripristinerà un migliore equilibrio tra le condizioni dell’offerta e della domanda”. Questo rallentamento causerà difficoltà ad alcune famiglie e imprese, ma “il mancato ripristino della stabilità dei prezzi comporterebbe costi molto maggiori”. Lo ha affermato il presidente della FED di Chicago, Charles Evans. La scorsa settimana, il FOMC della Banca centrale statunitense ha votato per aumentare l’obiettivo del tasso sui fed funds di 75 punti base a un intervallo dal 3 al 3,25% e ha indicato che saranno probabilmente necessari ulteriori aumenti dei tassi. La FED prevede di aumentare il tasso di riferimento al 4,4% entro la fine di quest’anno, secondo la stima mediana di tutti i 19 policymaker della banca centrale. La maggior parte dei policymaker quindi “che stiamo osservando qualcosa come altri 100-125 punti base di aumento dei tassi quest’anno solare”, ha sottolineato Evans.
La proiezione mediana ha quindi tassi in ulteriore aumento, al 4,6% alla fine del prossimo anno, per poi scendere al 2,9% nei due anni successivi. “Il mio punto di vista è più o meno in linea con la valutazione mediana”, ha aggiunto il banchiere centrale. Evans ha comunque ricordato che passa un certo tempo dall’aumento dei tassi, per quanto brusco possa essere, agli effetti sull’economia. “Dato che il tasso sui fondi era sostanzialmente a zero solo sette mesi fa, questo è stato un vero pivot nella politica monetaria – ha spiegato – Alla luce di questo rapido riposizionamento, e poiché il pieno effetto di condizioni finanziarie più restrittive richiede tempo per manifestarsi attraverso la produzione e l’inflazione, a un certo punto sarà opportuno rallentare il ritmo degli aumenti dei tassi e, infine, lasciare che i tassi ufficiali si stabilizzino su un plateau per un po’ per valutare in che modo i nostri adeguamenti politici stanno influenzando l’economia”.
Anche la Bce, del resto, si appresta a fare altrettanto. “Allo stato attuale, prevediamo di aumentare ulteriormente i tassi di interesse nei prossimi incontri per smorzare la domanda e prevenire il rischio di un persistente spostamento al rialzo delle aspettative di inflazione – ha confermato la presidente della Bce, Christine Lagarde, nell’ultima audizione alla commissione Economica del Parlamento europeo -. Valuteremo regolarmente il nostro percorso politico alla luce delle informazioni in arrivo e dell’evoluzione delle prospettive di inflazione. Le nostre future decisioni sui tassi ufficiali continueranno a dipendere dai dati e seguiranno un approccio riunione per riunione”. L’inflazione non è stata causata dalle politiche monetarie – ha chiarito -. La politica monetaria deve agire contro l’inflazione, il combinato di due shock senza precedenti: la pandemia e lo shock energetico”.
“La guerra ingiustificata di aggressione sull’Ucraina continua a gettare un’ombra sull’Europa. Le conseguenze economiche hanno continuato a dispiegarsi. Le prospettive si stanno facendo più fosche. L’inflazione rimane troppo alta ed è probabile resterà sopra i nostro target per un periodo esteso di tempo” ha proseguito Lagarde, precisando che “il deprezzamento dell’euro ha contribuito ad amplificare le pressioni inflazionistiche”. Anche ieri Lagarde ha ripetuto che la Bce “deve agire” contro l’inflazione con una stretta monetaria anche di fronte all’impatto sulla crescita, “altrimenti ci sarà un danno per l’economia ancora maggiore” ha detto, pur riconoscendo che il 60% dell’inflazione nell’area euro è causata da strozzature all’offerta e dalla crisi energetica, due fattori di fronte ai quali una banca centrale non ha strumenti.
Lagarde si è soffermata anche sul ‘Transmission Protection Mechanism’, lo ‘scudo anti-spread’ lanciato a luglio: la Bce è determinata ad attivarlo quando ce ne fosse bisogno “se valutiamo dinamiche dei mercati non giustificate dai fondamentali e sono rispettati i quattro criteri che abbiamo fissato, che possiamo riassumere nel fatto che il Paese destinatario si comporta bene all’interno delle regole europee”. Lo ‘scudo’, aveva già spiegato, “non è uno strumento inteso per un paese specifico” e “non è l’unico” in mano alla Bce. Intanto si delineano le prossime mosse della Bce sui tassi d’interesse: a fine ottobre, secondo il consigliere slovacco Peter Kazimir, “una buona opzione” è una nuova stretta da tre quarti di punto percentuale come quella di settembre. Per Olli Rehn, consigliere finlandese, i tassi potrebbero arrivare intorno al 2% entro dicembre, e da lì in poi entrare in territorio restrittivo se l’inflazione non mollerà la presa.