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domenica 10 Dicembre 2023

Italia, sul Pil previsioni opposte di S&P e Svimez

Milano – S&P Global Ratings ha rivisto al rialzo le stime per il Prodotto interno lordo (PIL) italiano nel 2022, le ha confermate per l’anno prossimo e tagliate per il 2024. Le previsioni per il 2022 sono state portate a +3,8% rispetto al +3,4% della stima di fine settembre, quelle per il 2023 sono rimaste invariate a -0,1% e quelle per il 2024 sono state riviste a +1,4% dal precedente +1,5%. Lo si legge nel report “Economic Outlook Eurozone Q1 2023: Reality Check” dell’agenzia di rating, secondo cui il forte slancio dell’economia europea si arresterà quasi completamente all’inizio del prossimo anno.

“Inflazione persistente, blocco delle assunzioni e tassi di interesse più elevati saranno chiaramente negativi”, ha affermato Sylvain Broyer, capo economista EMEA di S&P Global Ratings. D’altro canto, una sostanziale accelerazione dei salari e il rafforzamento degli investimenti pubblici dovrebbero sostenere la domanda interna e indirizzare l’economia verso una modesta ripresa a partire dalla metà del prossimo anno. Alla fine del 2022, la produzione manifatturiera dell’UE si attesta ai massimi storici, anche se i settori ad alta intensità energetica hanno ridotto l’attività a causa dei costi più elevati. Il ciclo delle assunzioni è ancora forte e spinge i consumi.

“D’altra parte, il ciclo dei tassi ufficiali è probabilmente più vicino alla fine che all’inizio, ma non è ancora finito”, ha aggiunto Broyer. S&P prevede che la Banca centrale europea (BCE) aumenti i tassi di altri 75 punti base prima di fermarsi. Inoltre, il suo bilancio potrebbe ridursi di circa 3 trilioni di euro in tre anni. Ciò lascerebbe il bilancio vicino a 6 trilioni di euro alla fine del 2026, ovvero 1 trilione di euro in più rispetto al livello pre-COVID-19. S&P sottolinea che i rischi per la previsione di base per l’Eurozona sono ancora “per lo più al ribasso, sia in termini di entità della contrazione durante la prima metà del 2023 che di forza della successiva ripresa”. Essi riguardano una possibile ripresa della crisi energetica, una spirale salari-prezzi che porta a tassi di interesse molto più alti, “forse in modo disordinato”. L’agenzia di rating si aspetta una crescita del PIL dell’Eurozona del 3,3% nel 2022, dello 0% nel 2023 e dell’1,4% nel 2024.

Per il Rapporto Svimez 2022, invece, il Pil meridionale si contrarrebbe sì fino a -0,4 per cento e quello del Centro-Nord – pur rimanendo positivo a +0,8 per cento – segnerebbe un forte rallentamento rispetto al 2022, ma il dato medio italiano dovrebbe attestarsi comunque intorno al +0,5 per cento. Resta il nuovo shock che ha cambiato il segno delle dinamiche globali (rallentamento della ripresa; comparsa di nuove emergenze sociali; nuovi rischi operativi per le imprese), interrompendo il percorso di ripresa nazionale coeso tra Nord e Sud. Gli effetti territorialmente asimmetrici dello shock energetico intervenuto in corso d’anno, penalizzando soprattutto le famiglie e le imprese meridionali, dovrebbero riaprire la forbice di crescita del Pil tra Nord e Sud.

Le previsioni Svimez, dicevamo, segnalano per il 2023 il rischio di una contrazione del Pil nel Mezzogiorno dello 0,4 per cento, un peggioramento della congiuntura determinata soprattutto dalla contrazione della spesa delle famiglie in consumi, a fronte della continuazione del ciclo espansivo, sia pure in forte rallentamento nel Centro-Nord (+0,8 per cento). Il 2024, al contrario, dovrebbe essere un anno di ripresa sulla scia del generale miglioramento della congiuntura internazionale, unitamente alla continuazione del rientro dall’inflazione che scende al +2,5 per cento e +3,2 per cento nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno nell’anno. Si stima che il Pil aumenti nel 2024 dell’1,5 per cento a livello nazionale, per effetto del +1,7 per cento nel Centro-Nord e dello +0,9 per cento al Sud.

Il dato del Sud, di per sé apprezzabile visto che dovrebbe tornare in territorio positivo dopo il calo del 2023, sarebbe comunque sensibilmente inferiore a quello del resto del Paese. Un aspetto strutturale che contribuisce a spiegare la debole ripartenza meridionale è rintracciabile sul lato dell’offerta: a seguito dei continui restringimenti di base produttiva sofferti dal Sud dal 2008, si è sensibilmente ridimensionata la capacità del sistema produttivo dell’area di agganciare le fasi espansive del ciclo economico. Secondo le stime Svimez, il Pil dovrebbe crescere del +3,8 per cento a scala nazionale nel 2022, con il Mezzogiorno (+2,9 per cento) distanziato di oltre un punto percentuale dal Centro-Nord (+4,0 per cento). La Svimez valuta che a causa dei rincari dei beni energetici e alimentari l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa un punto percentuale salendo all’8,6 per cento, con forti eterogeneità territoriali: +2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno, contro lo 0,3 del Nord e lo 0,4 del Centro.

In valori assoluti si stimano 760 mila nuovi poveri causati dallo shock inflazionistico (287 mila nuclei familiari), di cui mezzo milione al Sud. In base alle stime Svimez, l’aumento dei prezzi di energia elettrica e gas si traduce in un aumento in bolletta annuale di 42,9 miliardi di euro per le imprese industriali italiane; il 20 per cento circa (8,2 miliardi) grava sull’industria del Mezzogiorno, il cui contributo al valore aggiunto industriale nazionale è tuttavia inferiore al 10 per cento. Questo quadro previsivo – aggiunge Svimez – pone una duplice sfida alle politiche nazionali. Da un lato va assicurata continuità alle misure contro il caro energia: per mitigare l’impatto sui bilanci di famiglie, soprattutto le più fragili per le quali i rischi di una nuova povertà energetica sono più concreti; a favore delle imprese, per salvaguardarne l’operatività, rinnovando lo sforzo profuso durante l’emergenza Covid.

Dall’altro, è essenziale accelerare sul fronte delle misure di rilancio degli investimenti pubblici e privati dando priorità alla politica industriale attiva per ampliare e ammodernare la base produttiva soprattutto meridionale, condizione imprescindibile per la creazione di buona occupazione. Mettere in sicurezza l’attuazione del PNRR è cruciale: consolidandone la finalità di coesione economica, sociale e territoriale; potenziando le misure di accompagnamento degli Enti territoriali nella realizzazione delle opere; rafforzando il coordinamento del Piano con la politica di coesione europea e nazionale e con la politica ordinaria.

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