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mercoledì 4 Ottobre 2023

Italia, ora di gas ce n’è fin troppo: il problema è l’elettricità, urge il rigassificatore

Milano – Assovetro denuncia: “A rischio la competitività imprese, con i costi dell’energia (addirittura, ndr) decuplicati in due anni, l’industria, uno dei settori energivori per eccellenza, rischia di perdere competitività a livello internazionale e di finire fuori mercato”. Confindustria Ceramica avverte: “il Made in Italy è in pericolo, il governo Draghi (a cui resta meno di un mese di vita, ndr), oltre a insistere su un tetto al prezzo a livello europeo, dovrebbe intervenire con urgenza riattivando l’estrazione di gas dai giacimenti nazionali ancora sfruttabili e tutelare le imprese manifatturiere con misure finanziarie”. Fa eco Federmoda: “Costi insostenibili, tocca estendere il credito d’imposta”. Così Filiera Italia: “Agricoltura allo stremo, tetto a prezzo o ci fermeremo”. La CNA chiede “concertazione sul piano per il razionamento”, l’UNC “azzeramento dell’Iva e rinvio mercato tutelato”. Tutti i comparti produttivi del Paese piangono preventivamente miseria sull’autunno/inverno a causa del caro energia. Ieri una nuova raffica di rincari dei prezzi benzina e diesel certificata da Staffetta Quotidiana e la fiammata del gas, che ogni giorno tocca un nuovo record, e ha chiuso per la prima volta sopra i 300 euro ad Amsterdam, mercato di riferimento per il metano in Europa.

I future Ttf con scadenza a settembre hanno terminato le contrattazioni in rialzo del 10% al nuovo massimo storico di 321,4 euro al megawattora, mentre si avvicinano i tre giorni di chiusura programmata del Nord Stream. “Il governo Draghi può e deve intervenire” insiste da ultimo il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, pure lui senza rendersi conto che tra un mese cambia esecutivo a Palazzo Chigi. Bonomi ha precisato che gli industriali hanno bisogno di interventi quali “un tetto al prezzo del gas che se non viene fatto a livello europeo deve essere fatto a livello nazionale”, poi “sganciare il prezzo dell’energia elettrica da quello del gas, sospensione temporanea dei certificati Ets e riservare una quota della produzione dell’energia rinnovabile a costo amministrato alle aziende manifatturiere come fanno in altri Paesi”. Quando si guarda agli effetti sull’economia reale, sulle attività di tutti i giorni, si pensa immediatamente ai fornelli e ai riscaldamenti, a tutte le utenze che sono alimentate dal gas. Ma l’impatto più rilevante, in Italia, è quello che riguarda l’energia elettrica. Ecco perché le implicazioni dell’aumento del prezzo del gas vanno molto oltre quelle che riguardano il consumo di gas.

E rischiano di mettere in seria difficoltà le famiglie e di bloccare l’attività produttiva, con le imprese che per lavorare sono costrette a fronteggiare costi sempre più insostenibili. Il problema è che il gas è la fonte dominante nel mix della generazione elettrica e che quindi l’aumento del costo di approvvigionamento del gas naturale determina forti ripercussioni sul mercato elettrico. Oggi il costo è pari a 0,276 €/kWh, secondo la tariffa regolata da Arera, l’Autorità per l’energia, nel mercato tutelato. Il costo kWh nel mercato libero viene invece stabilito dai singoli fornitori di energia elettrica. Nell’aggiornamento delle tariffe di ottobre, viste le quotazioni del gas, sarà inevitabile un ulteriore, consistente, rialzo anche per la luce. Anche parlando di energia elettrica, le indicazioni più significative arrivano dalle quotazioni in Europa, anche per quanto riguarda le proporzioni del problema: l’elettricità costa ormai più di 600 euro al MWh, quando il costo medio nell’ultimo decennio è sempre rimasto tra i 20 e i 30 euro al MWh.

Di fronte a questo scenario, anche le proposte dei partiti in campagna elettorale si stanno adeguando. Tra le altre, quella del Partito Democratico prevede il controllo dei prezzi dell’energia elettrica, con l’introduzione in via transitoria per 12 mesi di un regime di prezzi amministrati attraverso la fissazione di un tetto nazionale al prezzo dell’elettricità (100 euro/Mwh) per imprese e utenze domestiche. Un’ipotesi a cui rispondono le obiezioni di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, favorevole a soluzioni europee e non nazionali. Le società che gestiscono l’energia in Italia, ha evidenziato, “sono quotate in Borsa e non nazionalizzate”. Quindi, “che facciamo? Mettiamo noi i soldi poi per far comprare a cento l’energia alle società dei Paesi Ue con cui siamo interconnessi?”. Certo l’escalation dei prezzi energetici rischia di “mettere in difficoltà tutto il sistema” e bloccare la “ripresa impetuosa ed estremamente positiva” registrata in fase di uscita dalla pandemia, dice Giancarlo Giorgetti, titolare del MISE, intervenuto al Meeting di Rimini.

A proposito della Russia, il Ministro ha affermato “a me sembrava fin dall’inizio inevitabile che con le sanzioni entrassimo in una fase di guerra economica con la Russia”. Sui meccanismi di formazione dei prezzi energetici, il titolare del MISE ha sottolineato “non potevamo non valutare, lo dico all’Europa, quelle che sarebbero state le conseguenze nel nostro sistema economico di alcune regole che ci siamo dati nel passato e che oggi sono controproducenti”, in particolare “le regole europee che l’Italia ha messo in discussione sul price cap e sul disaccoppiare il prezzo dell’energia da quello del gas. Se l’Europa non capisce che deve cambiare quelle due regole fa il gioco della Russia”, ha dichiarato Giorgetti concludendo “se queste regole non si possono cambiare, perché qualche paese si oppone, non possiamo evitare di porre il tema dello scostamento di bilancio”, che consentirebbe “di aiutare le famiglie e imprese a superare quella che rischia di essere a settembre-ottobre un passaggio mortale”.

Ma il vero problema è il contenitore più che il contenuto. L’Italia resta al livello di preallerta: per il nostro Paese non scatta l’allarme o peggio ancora l’emergenza, i tre livelli collegati al dossier gas. Il metano c’è, non c’è motivo di pensare a razionamenti, semmai il problema è un altro, ovvero il rigassificatore. Se non se ne realizza almeno uno in tempi stretti, nel 2023 andremo in emergenza, soprattutto non potremo affrancarci, come stiamo facendo, dal gas russo. Cinque miliardi di metri cubi di gas resterebbero fuori perché senza un ‘contenitore’ dove poterli accogliere appunto, e questo nonostante gli accordi stretti dal governo per diversificare: sarebbe la beffa più grande. I tubi italiani, insomma, sono ormai pieni, saturi, e c’è bisogno di altro spazio per accogliere gas liquido, il cosiddetto Gnl. Il governo ne è perfettamente consapevole, e anche questo è uno dei crucci che si sta ponendo in queste ore.

Per le aziende in affanno, che continuano a lanciare il loro grido d’allarme, si farà nuovamente leva sul credito d’imposta, mentre per le energivore, spiega la stessa fonte, “ci saranno due pacchetti importanti a prezzi calmierati, uno riguardante il gas e l’altro l’energia elettrica. E’ tutto quello che si può fare”. Oltre a portare avanti la battaglia in Europa sul tetto massimo al prezzo del gas. Ma il problema rigassificatore resta centrale, con gli occhi puntati su Piombino, dove la nave dovrebbe attraccare. Marzo è la deadline, perché i ‘tubi’ italiani saranno saturi entro l’inizio della primavera, dunque rischiano di non trovare dimora 5 miliardi di metri cubi di gas necessari per ‘sforbiciare’ ancora il fabbisogno da Mosca, portandolo dal 18% al 10%. E di centrare l’obiettivo 2024 per esserne completamente indipendente.

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