Milano – I ministri delle finanze del G7 hanno approvato il piano che prevede di fissare un tetto al prezzo del petrolio che proviene dalla Russia. “Confermiamo la nostra comune intenzione politica di finalizzare e attuare un divieto globale di servizi che consentono il trasporto marittimo di petrolio russo e prodotti petroliferi a livello globale”, hanno spiegato venerdì in un comunicato. “La fornitura di tali servizi sarà consentita solo se il petrolio sarà acquistato al prezzo fissato o al di sotto di tale prezzo (price cap) determinato da
un’ampia coalizione di Paesi che aderiscono al tetto e lo attuano”. Al momento i confini di questo tetto non sono stati ancora fissati: l’intenzione è di attuarlo in linea con la tempistica delle sanzioni Ue sul petrolio russo, che partono il 5 dicembre. Ce n’è ancora di tempo, dunque, prima che i pachidermici passi dell’Ue si traducano in qualcosa di concreto per “far pressione al ribasso sui prezzi globali dell’energia” come auspica il Commissario europeo per gli Affari economici, Paolo Gentiloni. “La Commissione farà pienamente la propria parte lavorando per raggiungere l’unanimità tra i nostri 27 stati membri per attuare questa misura nell’Ue – ha aggiunto -, contro gli extra profitti destinati alla guerra e per ridurre i prezzi dell’energia”.
Guarda caso, un paio di ore dopo l’annuncio, Gazprom ha fatto sapere che nel corso dei lavori di manutenzione programmata del Nord Stream, che sulla carta doveva riprendere l’attività sabato mattina, è stato trovato un nuovo guasto che impedisce di riattivare il flusso di gas dalla Russia verso l’Europa. Il colosso energetico sostiene che durante i lavori di manutenzione sull’unità di compressione del gas della stazione di Portovaya, eseguiti insieme ai rappresentanti della Siemens, “è stata rilevata una perdita d’olio con una miscela di mastice sigillante ai connnettori dei sei sensori di velocità del rotore di bassa e media pressione”. Un blocco a tempo indeterminato: fin quando non saranno eliminati i problemi sul funzionamento delle apparecchiature “il trasporto al gasdotto Nord Stream è completamente interrotto”. E’ ormai lapalissiano il muro contro muro tra Ue e Russia sullo sfondo del conflitto in Ucraina, con l’invasione delle truppe di Mosca in corso da oltre 6 mesi.
Uno scontro che a questo punto potrebbe portare direttamente allo stop delle forniture di gas russo dirette verso l’Europa, con l’inverno alle porte, ed il rischio concreto di una interruzione delle produzione per le aziende più energivore. I mercati ci credevano alla ripresa delle forniture, tanto che i prezzi – dopo i recenti record al Ttf di Amsterdam, schizzati fino a 349 euro al megawatt (un anno fa i contratti venivano scambiati a poco più di 25 euro al MWh) – sono tornati a calare vistosamente nelle ultime due giornate di contrattazioni, chiudendo la settimana a 212 euro, in calo del 12%. Probabile, quindi, che già da oggi tornino a salire. La Russia può permettersi di chiudere i rubinetti del gas all’Europa per un anno con poche conseguenze per il proprio bilancio pubblico. È la tesi dell’analista di Capital Economics, Liam Peach, pubblicata da Bloomberg News. Il conto economico russo è abbastanza forte da consentire a Mosca di mantenere le spedizioni di gas al 20% rispetto alla normalità per almeno tre anni, si legge nella nota. La Russia potrebbe gestire il taglio completo del gas per “poco più di un anno senza conseguenze negative per la sua economia”, sostiene Peach.
“L’impennata dei prezzi del gas sta compensando il calo dei volumi: il prezzo del gas russo in Europa quest’anno è in media sette volte superiore ai livelli del 2016-2019. I ricavi delle esportazioni di gas sono stati di 25 miliardi di dollari al trimestre nei primi sei mesi del 2022 e potrebbero rimanere a quel livello anche se la Russia mantenesse i flussi verso l’Europa al 20% rispetto ai livelli normali. La Russia potrebbe ridurre le esportazioni di gas verso l’Europa del 10% rispetto ai livelli normali e continuare a guadagnare circa 20 miliardi di dollari al trimestre se i prezzi rimarranno elevati”. Il calo dell’export, spiega l’analista, “avrebbe un impatto fiscale modesto; tagliandolo a zero per 12 mesi Mosca ridurrebbe le entrate di bilancio dello 0,3% del Pil all’anno. Inoltre, le vendite di petrolio a circa 80 dollari al barile ad acquirenti non Ue manterrebbero l’avanzo delle partite correnti al di sopra del 5% del Pil fino al 2025”.