Il Cairo – La Libia sta studiando un nuovo, ambizioso progetto che potrebbe rivoluzionare la geopolitica del Mediterraneo: un gasdotto per collegare i giacimenti di gas del Mediterraneo orientale alla Grecia passando per la Cirenaica, la regione libica orientale controllata dalle forze del generale Khalifa Haftar. Ad annunciarlo è stato il presidente del Consiglio di amministrazione della National Oil Corporation (Noc, l’ente petrolifero libico), Farhat bin Qadara in un’intervista televisiva. L’idea è quella di costruire due gasdotti, in aggiunta all’attuale condotta con l’Italia: uno per collegare il Paese nordafricano alla Grecia attraverso il Mediterraneo, mentre l’altro dovrebbe raggiungere i terminal del gas di Damietta, in Egitto, circa 200 chilometri a nord del Cairo. Un progetto di grandi dimensioni che potrebbe includere anche Israele, collegata all’Egitto via gasdotto, ma che si scontra con due grandi incognite: una di natura economica, l’altra politica.
Il problema numero uno è che la Libia attualmente non produce abbastanza gas. Secondo una stima di “Agenzia Nova”, la produzione complessiva di gas della Libia è stata di 9,23 miliardi di metri cubi nel 2021, a fronte di un fabbisogno interno di 6 miliardi di metri cubi circa. Cifre che potrebbero effettivamente cambiare, ma solo con la scoperta di nuovi ingenti giacimenti di gas (a tal proposito, Eni e Bp hanno in cantiere diverse esplorazioni sia onshore che offshore) e la costruzione di nuove centrali a ciclo combinato o grandi impianti da fonti rinnovabili di energia e in particolare solare, per cui è in pole position TotalEnergies. Vale la pena ricordare che, in teoria, la Libia può esportare in Italia fino 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno tramite il Greenstream, il gasdotto che collega la Sicilia ai giacimenti gasiferi di Eni nel sud-ovest della Libia. Tuttavia, nel 2021 sono arrivati appena 3,23 miliardi di metri cubi di gas libico, in calo rispetto ai 4,46 miliardi di metri cubi dell’anno precedente.
Perché quindi costruire un nuovo gasdotto se l’unico collegamento esistente non viene nemmeno sfruttato al 50 per cento? Semplice: perché in Libia c’è ancora tantissimo gas da sfruttare, si parla di giacimenti superiori al maxi-scoperta di Zohr, in Egitto, con investimenti anche relativamente contenuti. Lo scorso mese di aprile, infatti, l’ambasciatore d’Italia a Tripoli, Giuseppe Buccino, aveva detto che “la Libia può aumentare la produzione di gas del 30 per cento in un anno con investimenti non superiori a 1 miliardo di dollari”. A patto che a Tripoli via sia una autorità esecutiva forte e condivisa, mentre da mesi è in corso un braccio di ferro tra due coalizioni rivali: da una parte il Governo di unità nazionale del premier ad interim Abdulhamid Dabaiba con sede a Tripoli, riconosciuto al livello internazionale ma sfiduciato dal Parlamento; dall’altra il Governo di stabilità nazionale designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk e guidato da Fathi Bashagha, già ministro dell’Interno di Tripoli. Il generale Haftar sta invece giocando una partita tutta sua: ufficialmente dalla parte di Bashagha, di fatto in trattative con il premier Dabaiba. La stessa nomina di Farhat bin Qadara sarebbe il frutto di un’intesa “segreta” tra il generale e il capo del governo di Tripoli.
Il numero uno della Noc ha inoltre annunciato che Eni e Bp starebbero investendo ingenti quantità di denaro (si parla di 8 miliardi di dollari) per lo sviluppo dei giacimenti di gas naturale offshore e onshore. Quello che Bin Qadara non dice, però, è che gli investimenti di Eni e Bp non possono partire se la crisi politica in Libia non si risolve. E allo stato attuale le vie d’uscita sembrano essere solo due, entrambe difficilissime: primo, la nascita di un nuovo governo che unisca le due amministrazioni rivali, con il rischio però che si arrivi alla paradossale situazione di avere tre governi; secondo, un accordo tra chi ha veramente il potere, ovvero Haftar da una parta e Dabaiba dall’altra.
Il problema numero due del progetto per il nuovo gasdotto è relativo non solo alla fragilità della situazione politica in Libia, ma anche al contesto internazionale. La Turchia ha sottoscritto un controverso memorandum d’intesa per lo sfruttamento degli idrocarburi in tutto il territorio libico (sia onshore che offshore) con il Governo di unità nazionale di Tripoli. Un accordo che è stato immediatamente bollato come “illegale” da Egitto e Grecia. Difficilmente il progetto del gasdotto Egitto-Libia-Grecia verrebbe accettato di buon grado da Ankara, che vanta attualmente una fortissima influenza sul governo di Tripoli. E poi: Israele accetterebbe di affidare le sue forniture estere di gas all’Egitto e alla Libia, un Paese con cui non ha rapporti diplomatici? Inoltre, da parte sua, anche la Grecia potrebbe non avere interesse a partecipare alla realizzazione di un gasdotto il cui tracciato non comprende Cipro come invece prevede invece il gasdotto EastMed.
Il progetto per il gasdotto del Mediterraneo orientale collega i giacimenti dello Stato di Israele, e ipoteticamente anche quelli dell’Egitto, con Grecia e Cipro. L’accordo per il gasdotto è stato firmato da Grecia, Cipro e Israele nel gennaio 2020 e il 19 luglio 2020, il governo israeliano ha ufficialmente approvato l’intesa, consentendo ai Paesi firmatari di portare avanti i piani per completare il gasdotto entro il 2025. Il progetto è in fase di stallo dopo il ritiro del sostegno degli Stati Uniti nel gennaio 2022 e le pressioni della Turchia, contraria al gasdotto. Tuttavia, la crisi energetica provocata dall’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio scorso e il conseguente tentativo da parte dei Paesi europei di trovare alternative al gas russo ha aumentato l’interesse per il gasdotto EastMed. In base al progetto il gasdotto avrà una lunghezza di circa 1.900 chilometri raggiungerà una profondità di 3 chilometri e avrà una capacità di 10 miliardi di metri cubi all’anno con costi stimati di circa 6,8 miliardi di dollari. A ben vedere, l’annuncio di Bin Qadara ha quindi come obiettivo quello di presentare la Libia nell’agone politico internazionale non più solo come pedone turco, ma come uno dei principali attori regionali in grado di trattare su più tavoli.