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lunedì 11 Dicembre 2023

Dossier Energia, il punto tra Occidente e Russia

Milano – L’Unione europea è determinata a porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili russi. “La nostra immediate priorità è quella di fermare la crisi energetica, che può sfociare in una crisi economica e sociale – ha ribadito nei giorni scorsi la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen -. L’insostenibilità del Sistema energetico attuale, ancora dominato dai combustibili fossili, è ancora più chiara adesso che Putin sta usando l’energia come arma e ricatto verso l’Europa. Ma non ci faremo ricattare. Non lasceremo che i nostri valori siano compromessi. Siamo determinati a far finire la nostra dipendenza dai combustibili fossili russi. Una volta per tutte e in maniera veloce. Lo faremo – ha aggiunto – diversificando le fonti energetiche, risparmiando energia e accelerando l’adozione delle energie rinnovabili”.

Per il Cremlino, naturalmente, il piano per introdurre nell’Ue un tetto al prezzo del petrolio e del gas è diventato un altro esempio della rapidità con cui “idee assurde dagli Stati Uniti” vengono attuate in Europa: la ha ripetuto da ultimo Igor Sechin, amministratore delegato della società petrolifera russa Rosneft. Secondo Sechin, una tale misura minaccia i principi di base del mercato e introduce il principio dei Paesi “giusti” e “sbagliati”. “Quindi, l’idea è quella di abolire i diritti sovrani dei Paesi sulle proprie risorse, perché i Paesi giusti, che non hanno abbastanza risorse, ne hanno bisogno più di quelli sbagliati”, ha sottolineato. Infine, ha concluso, le restrizioni non riguarderanno Washington. Nel frattempo le esportazioni verso i Paesi stranieri di Gazprom, il gruppo statale per l’energia russo, sono diminuite del 42,6 per cento rispetto all’anno scorso. “Le esportazioni verso i Paesi esteri ammontano a 91,2 miliardi di metri cubi, il 42,6 per cento (67,6 miliardi di metri cubi) in meno rispetto allo stesso periodo del 2021” si legge nell’ultimo comunicato emesso dalla società, riferendo che la produzione di gas ha raggiunto 344 miliardi di metri cubi, il 18,6 per cento di meno rispetto all’anno scorso. Dall’altra parte della barricata, invece, c’è da registrare la destituzione, da parte del Consiglio dei ministri dell’Ucraina, di Yuriy Vitrenko dalla carica di amministratore delegato di Naftogaz, società statale ucraina per il petrolio e il gas, approvandone le dimissioni.

L’Europa, comunque, è ancora divisa sul piano per gestire l’emergenza energetica e soprattutto sulla possibilità di far ricorso al bilancio europeo per gestire questa nuova emergenza come fatto con la pandemia, mentre in Italia il governo Meloni appena insediatosi sta mettendo a punto le sue priorità, che fanno perno sulla gestione nazionale dell’emergenza. La Germania torna a dire no all’emissione di debito comune per finanziare la nuova emergenza energetica ed anche all’ipotesi di rientro de debito da negoziare bilateralmente. Lo ha detto il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner, in un’intervista rilanciata dal Financial Times, affermando che il vantaggio finanziario che Bruxelles e molti stati speravano di ottenere dal debito comune europeo “non esiste più”. In Italia il nuovo governo Meloni è alle prese con la complicatissima gestione della crisi energetica, con un piano contingente per ammortizzare il peso delle bollette ed un piano di più lungo periodo per garantire all’Italia l’indipendenza energetica.

Il nuovo Ministro della transizione ecologica Gilberto Pichetto ha confermato che si muoverà su solco tracciato dal governo Draghi affiancato dal predecessore Roberto Cingolani nella veste di consulente. La Premier nel discorso di insediamento ha chiarito i punti principali del suo programma di breve e lungo termine che prevede: proseguire la battaglia in UE per il tetto al prezzo del gas; ottenere il disaccoppiamento fra il prezzo dell’elettricità e del metano; offrire nuovi aiuti a famiglie ed imprese contro il caro bollette, reperendo fondi nelle pieghe del bilancio e dagli extraprofitti delle società energetiche; aumentare il gas prodotto in Italia che ammonta oggi a 3 miliardi di metri cubi contro i 17 miliardi estratti nel 2000; accrescere il ricorso alle rinnovabili compresa la produzione nazionale di componentistica (pannelli solari); valutare il nucleare di nuova generazione.

La Francia e l’Italia, invece, sono unite nella battaglia per il tetto al prezzo del gas e per una maggiore solidarietà europea. Agnès Pannier-Runacher, ministra per la Transizione energetica, ha spiegato di recente a “Repubblica” la strategia per smuovere le resistenze della Germania, e intanto difende il rilancio dell’energia nucleare, nonostante le attuali difficoltà, escludendo che ci possano essere tagli delle forniture elettriche verso l’Italia. “Dobbiamo prendere decisioni che limitino la volatilità dei prezzi del gas senza privarci dei possibili approvvigionamenti. Le preoccupazioni sono tre. La prima è la questione del nostro consumo di gas ed elettricità, che deve essere ridotto per allentare la pressione sui mercati. Si tratta di una questione molto delicata per i tedeschi e gli austriaci e, in ultima analisi, se tutta l’Europa riduce il proprio consumo di gas, si riducono le tensioni dei paesi più esposti”. “La seconda questione – continua la ministra – è il costo del gas e la sua volatilità, e qui c’è un desiderio molto chiaro, in particolare da parte di belgi, italiani, greci e polacchi, in totale quattordici paesi tra cui la Francia, di trovare un meccanismo per regolare il prezzo del gas e dare alle aziende più visibilità. La terza questione è il disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità e del gas, che andrà a vantaggio di tutti”.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz teme che questi meccanismi per ridurre i prezzi scoraggino la sobrietà e che i fornitori vendano fuori dall’Europa: “Nessuno in Europa vuole rimanere senza forniture di gas, ne abbiamo tutti bisogno. Vogliamo meccanismi che regolino i prezzi, consentendo allo stesso tempo le possibilità di acquisto. Ci sono contratti a lungo termine e contratti spot, consegne via gasdotto, che non possono essere facilmente reindirizzate ad altri clienti, o Gnl (gas naturale liquefatto) via nave che fa parte di un mercato globale. Tutti questi elementi devono essere integrati e non esiste una risposta unica”. Le posizioni del nuovo governo italiano sono in linea con la Francia: “Ho incontrato il mio nuovo omologo italiano alla riunione dei ministri. Non ho visto alcun cambiamento nelle posizioni dell’Italia. C’era l’ex ministro Roberto Cingolani, c’era il suo successore Gilberto Pichetto Fratin ed erano insieme per lavorare con i vari colleghi europei”. Francia e Italia lavorano bene insieme, nonostante le differenze politiche: “Abbiamo sempre lavorato bene con l’Italia. Possiamo avere affinità politiche con questo o quel governo ma i nostri partner sono quelli che il popolo – italiano, tedesco o olandese – sceglie. La forza dell’Europa è l’unione e la solidarietà. Lo abbiamo dimostrato negli ultimi mesi, anche a chi aveva dubbi in proposito”.

Di fatto nella prima metà del 2022, i prezzi medi dell’elettricità per uso domestico nell’Ue sono aumentati notevolmente rispetto allo stesso periodo del 2021, da 22,0 euro per 100 kWh a 25,3 euro per 100 kWh. Anche i prezzi medi del gas sono aumentati rispetto allo stesso periodo del 2021 da 6,4 euro per 100 kWh a 8,6 euro per 100 kWh nella prima metà del 2022. È quanto è emerso dalla raccolta dati sui prezzi dell’elettricità e del gas pubblicati da Eurostat. L’ente statistico europeo ha sottolineato che nell’ultimo periodo i prezzi all’ingrosso dell’elettricità e del gas sono aumentati notevolmente in tutta l’Ue. A guidare l’impennata dei prezzi soprattutto i costi della materia prima e di approvvigionamento influenzati dall’attuale situazione geopolitica determinata dall’aggressione militare russa in Ucraina. Rispetto a un anno fa, il peso delle tasse e dei prelievi nelle bollette finali dell’elettricità e del gas addebitate alle famiglie nell’UE nella prima metà del 2022 è diminuito in modo significativo: gli Stati membri infatti hanno introdotto indennità e sussidi governativi per mitigare i costi energetici elevati. Rispetto al primo semestre 2021, la quota delle tasse sulla bolletta elettrica è fortemente diminuita dal 39% al 24% (-15,5%) e sulla bolletta gas dal 36% al 27% (-8,6%).

Per quel che riguarda i prezzi dell’elettricità per uso domestico, sono aumentati in 22 Stati membri dell’UE nella prima metà del 2022, rispetto alla prima metà del 2021. L’aumento maggiore (espresso in valute nazionali) è stato registrato in Repubblica Ceca (+62% ), davanti a Lettonia (+59%) e Danimarca (+57%). I prezzi sono calati invece in cinque Stati membri: Paesi Bassi (-54%), Slovenia (-16%), Polonia (-3%), Portogallo e Ungheria (entrambi -1%). I cali in Olanda, Slovenia e Polonia sono legati a sussidi e indennità governative, mentre in Ungheria i prezzi sono regolamentati. I prezzi medi dell’elettricità per uso domestico nella prima metà del 2022 erano i più bassi in Olanda (5,9 euro per 100 kWh), Ungheria (9,5 euro) e Bulgaria (10,9 euro) e i più alti in Danimarca (45,6 euro), Belgio (euro 33,8), Germania (32,8 euro) e Italia (31,2 euro).

Guardando al prezzo del gas, tra la prima metà del 2021 e la prima metà del 2022, è aumentato in 23 dei 24 Stati membri dell’UE per i quali sono disponibili dati. I prezzi del gas sono aumentati maggiormente in Estonia (+154%), Lituania (+110%) e Bulgaria (+108%), trainati principalmente dal costo della materia prima. C’è stato un solo Stato membro in cui i prezzi del gas naturale per i consumatori domestici sono diminuiti marginalmente nello stesso periodo: l’Ungheria (-0,5%), dove i prezzi sono regolamentati. I prezzi medi del gas per uso domestico nella prima metà del 2022 erano i più bassi in Ungheria (2,9 euro per 100 kWh), Croazia (4,1 euro) e Lettonia (4,6 euro) e i più alti in Svezia (22,2 euro), Danimarca (16,0 euro). ) e Paesi Bassi (12,9 euro). E mentre Russia e Turchia stanno discutendo a livello di esperti la creazione di uno snodo di gas, nel vecchio continente ogni Paese continua a implementare le proprie strategie nazionali.

La Polonia ha da poco firmato a Seul un memorandum d’intesa per la realizzazione subito di un secondo impianto nucleare con tecnologia sudcoreana, piu’ un terzo nel prossimo futuro. Altro memorandum è stato siglato in questi giorni tra l’azienda di gas austriaca Omv e l’emiratina Adnoc, per la spedizione di forniture di Gnl. Ridono le compagnie energetiche: la norvegese Equinor è solo una delle molte che hanno ottenuto profitti record nel terzo trimestre 2022, trainato dai massimi storici dei prezzi, e ha aumentato il pagamento dei dividendi. L’utile per luglio-settembre è salito a 24,3 miliardi di dollari dai 9,77 miliardi dell’anno precedente. “La guerra russa in Ucraina ha cambiato i mercati energetici, ridotto la disponibilità di energia e aumentato i prezzi – ha affermato l’amministratore delegato, Anders Opeda -. L’elevata produzione combinata con i continui livelli di prezzo elevati ha portato a risultati finanziari molto forti”. Pure BP, dall’altra parte dell’Atlantico, ha registrato un utile, sopra le stime degli analisti, di 8,15 miliardi di dollari nel terzo trimestre e ha annunciato un ulteriore riacquisto di azioni per 2,5 miliardi di dollari. A spingere i profitti, appunto, il trading sul gas con l’invasione russa dell’Ucraina che ha fatto lievitare i prezzi dell’energia. Nelle scorse ore il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha minacciato che “se le aziende del petrolio non cambieranno qualcosa pagheranno una tassa più alta sui profitti extra”.

Non solo aziende private fanno affari, e non solo per effetto dei prezzi dell’energia. Gli scambi con la Russia, infatti, hanno registrato un aumento per diversi Paesi nel mondo, tra cui anche alcuni europei, nonostante le sanzioni conseguenti all’invasione dell’Ucraina. E’ quanto riporta il quotidiano Usa “New York Times” in un articolo che traccia il volume delle importazioni e delle esportazioni con Mosca dopo il 24 febbraio e lo confronta con la media dei 5 anni precedenti, in un periodo compreso fra il 2017 e il 2021. I dati sono stati elaborati dalle due agenzie per le ricerche di mercato Refinitiv e Kpler, e mostrano aumenti di grande portata per alcuni Stati, che vanno anche oltre le previsioni degli esperti. La Cina, ad esempio, vista da molti come il potenziale partner principale della Russia nel prossimo futuro, per il momento registra un aumento degli scambi del 64 per cento, mentre il Brasile segna una crescita del 106 per cento, la Turchia del 198 e l’India, in testa alla classifica, segna un più 310 per cento. Se è logico pensare ad una crescita dello scambio commerciale con i Paesi che non hanno applicato sanzioni, meno immediata risulta la comprensione dei dati relativi al Belgio, che segna un più 81 per cento, o alla Spagna, che segna un più 57 per cento e ai Paesi Bassi, più 32 per cento.

La Germania mostra solo un tre per cento in meno nel volume degli scambi, a fronte di Paesi come la Svezia, che registra un calo del 76 per cento, o il Regno Unito, che segna un meno 79 per cento. Una flessione meno marcata riguarda gli Stati Uniti, che hanno diminuito del 35 per cento gli scambi con la Russia, la Corea del Sud (meno 17 per cento) e il Giappone (meno 13 per cento). Il quotidiano statunitense parla di un vero e proprio “boom” del commercio con la Russia quest’anno, perché con l’entrata in vigore delle sanzioni “le alleanze di Mosca sono cambiate”. I dati sottolineano quanto sia profondamente intrecciata l’economia russa con quella globale, e come i tentativi degli Stati occidentali di utilizzare sanzioni e altre misure abbiano avuto finora effetti limitati. La Russia, in quanto importante produttore mondiale di petrolio, gas e materie prime, ha avuto collaborazioni di lunga data e “rompere quei legami non è facile”, osserva ancora il giornale.

Se infatti Stati Uniti e Regno Unito non hanno avuto molte difficoltà a privarsi del gas e del petrolio russo, perché da sempre modesti importatori, più complessa è la questione per Paesi come la Germania. “Gli Stati Uniti hanno già interrotto gli acquisti di petrolio russo e il Regno Unito lo farà entro la fine dell’anno. Ma nessuno dei due Paesi è un grande acquirente. L’Unione europea, che dipende fortemente dall’energia russa e, come molti Paesi, sta già lottando con l’inflazione, è stata più lenta ad agire. L’Europa ha smesso di importare carbone russo ad agosto. Vieta tutte le importazioni di petrolio spedito via mare dalla Russia a dicembre e tutti i prodotti petroliferi a febbraio”, ricorda il “New York Times”. Oltre all’energia, la Russia continua anche ad essere uno dei principali esportatori di altre materie prime essenziali, che vanno dai fertilizzanti all’amianto, dai reattori nucleari al grano. Le ragioni per il mancato flop degli scambi con alcuni Paesi occidentali diventano evidenti se si ricorda che le case automobilistiche internazionali dipendono ancora dalla Russia per il palladio e il rodio per la produzione di convertitori catalitici. Gli impianti nucleari francesi, inoltre, si basano sull’uranio russo, mentre il Belgio continua a svolgere un ruolo chiave nel commercio di diamanti con la Russia.

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