Milano – La Banca centrale europea (BCE) continuerà ad aumentare i tassi mentre inizia la “seconda metà” del ciclo di inasprimento, perché “il rischio che facciamo troppo poco è ancora il rischio maggiore”. Lo ha ribadito tra gli altri Klaas Knot, presidente della Banca dei Paesi Bassi e membro del Consiglio direttivo della BCE, in un’intervista di alcuni giorni fa al Financial Times. Il governatore olandese ritiene di aver appena superato la metà del suo ciclo di inasprimento e di dover essere “presente per il gioco prolungato” per domare l’inflazione elevata. Knot, uno dei membri più hawkish del consiglio direttivo di Francoforte, ha dichiarato che con cinque riunioni programmatiche da qui al luglio 2023, la BCE raggiungerà “un ritmo di inasprimento abbastanza decente” attraverso aumenti di mezzo punto percentuale nei prossimi mesi prima che gli oneri finanziari raggiungano il picco entro l’estate.
“Il rischio che facciamo troppo poco è ancora il rischio maggiore – ha detto – Siamo solo all’inizio del secondo tempo”. Decidere quando avrà inasprito abbastanza la politica sarà a la “sfida principale” quest’anno. Knot ha affermato che i rischi per la stabilità finanziaria sono “molto più chiari sul nostro schermo radar ora”. Non è un caso, ha detto, che prima di iniziare ad alzare i tassi a luglio la BCE avesse messo in piedi un nuovo strumento di acquisto di obbligazioni per contrastare il rischio di nuove turbolenze. Più di un terzo dei membri del consiglio ha sostenuto di continuare con aumenti di 0,75 punti percentuali, ma Knot ha affermato che passando a movimenti dei tassi più piccoli, “ci concediamo un po’ più di tempo lungo il percorso mentre restringiamo il 2023 per valutare gli effetti del nostro restringimento”.
Anche l’inflazione nei prossimi due o tre mesi resterà stabile rispetto al livello attuale, per poi calare nel secondo trimestre del 2023. È quanto affermato dal vicepresidente della Banca centrale europea Luis de Guindos, in un’intervista a “Le Monde”: “Nel secondo trimestre del 2023 si assisterà a un calo per attestarsi intorno al 7 per cento entro la metà dell’anno”, ha detto de Guindos, secondo cui questo dato “è ancora chiaramente al di sopra del nostro obiettivo di stabilità, ovvero un’inflazione del 2 per cento a medio termine”. Per questo motivo, “non abbiamo altra scelta che agire: la politica monetaria funziona temperando la domanda, che a sua volta modera la crescita, non c’è alternativa. Se non interveniamo, la situazione peggiorerebbe perché l’inflazione è uno dei fattori alla base dell’attuale recessione”, ha proseguito de Guindos, secondo cui intervenire con “aumenti da 50 punti base potrebbe diventare la nuova norma nel breve termine”. Di conseguenza, tale tipologia di interventi potrebbe proseguire sino a quanto i “tassi di interesse non entreranno in un territorio restrittivo”.
Contro gli aumenti dei tassi d’interesse “possiamo aspettarci ulteriore opposizione e dobbiamo resistere. E’ proprio per questo che le banche centrali sono indipendenti” aveva già detto Isabel Schnabel, membro del comitato esecutivo della Bce, rispondendo a una domanda sulle critiche, in Italia, a pochi giorni dalla riunione del 15 dicembre in cui la Bce ha alzato i tassi di mezzo punto al 2,50%. “Ai governi – dice Schnabel – in generale non piacciono molto gli aumenti dei tassi. Pesano sulla posizione di bilancio perché rendono più costoso emettere nuovo debito”. Una presa di posizione, poi avallata anche dal vicepresidente della Bce Luis de Guindos, che in Italia aveva suscitato più di un mal di pancia, visto che lo spread aveva immediatamente iniziato a correre fino a oltre 220 con rendimento del Btp decennale al 4,40%, su livelli che qualcuno considera ‘di guardia’. Da allora la tensione si è attenuata, ma nel frattempo dal Governo italiano era arrivata più di una critica: il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva parlato di una decisione “sbagliata”, quello della Difesa Guido Crosetto di un “regalo di Natale” deciso “con leggerezza”, mentre il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini aveva definito “incredibile sconcertante e preoccupante” che la Bce facesso bruciare “miliardi di euro” facendo salire lo spread.
La Bce, invece, tira dritto: il problema principale è l’inflazione che, bruciando potere d’acquisto delle famiglie, frena i consumi e quindi la crescita. La Bce, ha aggiunto ancora Schnabel, “deve chiaramente raggiungere un tasso d’interesse che sia alto abbastanza da riportare l’inflazione al 2%”, e “nelle nostra valutazione questo tasso è in area restrittiva, vale a dire oltre il livello neutrale. Il tasso terminale, che è il tasso di picco atteso nel ciclo rialzista – è salito oltre il 3%. Se dobbiamo ancora salire oltre ulteriormente rispetto a quel livello dipenderà dalle prospettive future d’inflazione”. Una presa di posizione che prelude a un confronto serrato con i membri ‘colombe’ della Bce. Anche se questi appaiono in minoranza: anche il governatore francese Francois Villeroy de Galhau ha evocato un’ulteriore stretta al portafoglio di titoli di Stato a partire dall’estate, dopo che a marzo la Bce inizierà a lasciar scadere bond al ritmo di 15 miliardi al mese. Un problema per l’Italia, che dovrà emettere oltre miliardi di titoli nel 2023 fra rifinanziamenti di quelli in scadenza e copertura di un fabbisogno da 90 miliardi. Schnabel difende – di fronte alle osservazioni del quotidiano tedesco piuttosto ‘falco’ – la prima linea di difesa ‘anti-spread, ossia la flessibilità nei reinvestimenti del programma Pepp – e lo ‘scudo’ Tpi.